MES, Recovery Fund e l’Europa dei Miserabili

Alla fine, la montagna partorì un topolino (Parturient Montes nascetur ridiculus mus), e questo verso di Orazio dall’Ars Poetica riassume perfettamente l’impotenza dell’Europa delle banche in questa situazione di emergenza. Orazio ce l’aveva con i poeti che promettevano mari e monti sui loro scritti futuri e poi se ne uscivano con qualche verso zoppicante (non lo scazonte di Ipponatte!) e noi, più modestamente dati i tempi, ce la dobbiamo vedere con l’Europa della miseria e dei miserabili, che ha frantumato in mille irriconoscibili pezzi il sogno di una grande Europa coltivato dai nostri predecessori. Ma procediamo con ordine.

Il nostro paese ha bisogno di interventi finanziari urgenti e tutti sono concordi (chi più chi meno, ma insomma stiamo lì) nell’indicare la misura di questi interventi finanziari in una somma intorno ai 350/400 miliardi di euro. E forse nemmeno questa sarebbe sufficiente, viste le ultime indicazioni al ribasso delle previsioni sulla caduta del Pil. Negli Usa, Powell, che non è l’ultimo arrivato o un giornalista in vena di sensazionalismi, ma il Presidente della FED, ha valutato la caduta del GDP americano tra il 20 e il 30%, e non c’è alcuna ragione per cui in Europa dobbiamo ritenerci più fortunati e limitare la nostra caduta a meno del 10%. Anche in Europa andrà nello stesso modo, chi più e chi meno, e per l’Italia la previsione deve necessariamente essere più pessimistica data la peculiare natura di parte consistente di quel PIL, e le condizioni particolarmente disagiate di molte delle nostre imprese prima dello tsunami del Covid 19. Il turismo, la ristorazione, lo spettacolo, i viaggi, che rappresentano una parte consistente del nostro PIL, infatti, molto più di quanto non sia per la Germania e l’Olanda, avranno una contrazione molto forte per via delle restrizioni ai viaggi, alle vacanze, agli assembramenti che la pandemia ci costringerà ad adottare e mantenere per ancora lungo tempo. Un ristorante medio, in Italia, se tutto va bene, sarà costretto a dimezzare i coperti del proprio locale, il che significa che dovrà allo stesso tempo dimezzare i costi che, per lo più, sono rappresentati dal personale e dalle tasse per l’occupazione del suolo pubblico soprattutto nei centri storici delle città. Lo stesso, se non peggio, per gli alberghi, le spiagge, i locali notturni, le attività di ricreazione e di divertimento che attirano ogni anno milioni di viaggiatori e che quest’anno e forse anche il prossimo, perderanno più della metà dei visitatori, L’industria del semilavorato nella meccanica non dovrebbe avere così pesanti ripercussioni, ma sempre se i loro committenti tedeschi e francesi, oltre alla FCA formalmente italiana ma fiscalmente olandese, siano in grado di riprendere a pieno ritmo la produzione e le vendite. E in una situazione in cui la caduta dell’occupazione (e quindi della capacità di spesa di massa) sarà pesantissima, visto che si prevede per l’Italia almeno di arrivare oltre il 25% di disoccupati nel giro di qualche mese, e in un mercato come quello dell’automobile che già stentava per conto suo prima del Covid 19, ci sono seri motivi per dubitare che si possa tornare rapidamente a livelli produttivi elevati.

Per queste ragioni, il livello dell’intervento dello Stato, e degli Stati in Europa, doveva essere adeguato ai problemi creati dalla pandemia, e quindi si sarebbe dovuto attestare, per parlare di cifre, intorno ai 2/3.000 miliardi di euro. Con l’aggiunta, non di poco momento, che questo intervento sarebbe dovuto essere a fondo perduto per parte consistente, dato anche l’elevato e insostenibile livello di indebitamento delle imprese europee nei confronti del sistema bancario e di quelle italiane in particolare. Contando sulla necessità di un simile intervento, il nostro governo si è “allargato” preannunziando al popolo in ansiosa attesa, un intervento in favore delle imprese (piccole, medie e grandi) di ben 400 miliardi di euro. Dopodiché si è scoperto che questo intervento era in realtà una garanzia di firma (e non di cassa, e la differenza è ontologica), presso il sistema bancario per garantire finanziamenti inizialmente previsti a tasso zero e che poi si scopre scontano un 3/4% di interesse l’anno nella realtà, per le aziende non in crisi prima del Covid 19 e libere da segnalazioni del sistema di controllo delle banche assicurato dalla CRIF. Ne abbiamo già parlato, denunciando l’illiceità di prevedere un intervento pubblico legato a verifiche e decisioni di strutture private quali l’ABI e la CRIF. Di fatto le banche, che sono fortemente esposte verso la piccola e media impresa italiana che usufruisce di circa 134 miliardi di credito bancario, si sono volute assicurare una garanzia supplementare e ben più efficace dei quella chirografaria delle imprese, nel caso – estremamente probabile – di una caduta di fatturato notevole e di una conseguente catena di fallimenti di imprese che, fino a poco tempo fa, erano considerate solide e sicure. La manovra è chiarissima e comprensibile: in caso di fallimento o chiusura del 40% delle imprese affidate, le banche avrebbero trovato un buco di oltre 60 miliardi da coprire dalla sera alla mattina e il rischio di un crac generale era elevatissimo. L’illecito da parte del governo sta nella narrazione, perché una manovra studiata per parare il sistema bancario da un colpo probabilmente mortale, ripeto, manovra comprensibile e perfettamente legittima, è stata fatta passare per un dono del Governo alle imprese in difficoltà dopo la chiusura forzata per la quarantena.

Fatto sta, finora le imprese, le partite Iva, i lavoratori, sia quelli regolarmente iscritti all’Inps sia quelli numerosissimi in nero o precari, di aiuti ne hanno visti davvero pochi e del tutto insufficienti. Si aspettava l’Europa ed è oltre un mese che si discute nelle varie istanze della Comunità degli interventi da assumere per fronteggiare la crisi. L’atteggiamento generale è stato degno dei peggiori miserabili e usurai. Gli Stati del nord compatti nel negare qualsiasi intervento a fondo perduto in favore degli Stati del sud che nemmeno al tempo della guerra di secessione si era vista tanta stupida acrimonia. Stupida, perché fondata sul nulla di una pretesa superiorità morale ed economica che esiste solo nei racconti che questi signori hanno fatto passare nell’opinione pubblica europea e anche nella nostra, grazie all’ignoranza, alla complicità e alla infingardaggine di buona parte del nostro mondo dell’informazione, e che si regge su trucchi e truffe degni dei migliori film di Totò. Quando poi le imprese tedesche della meccanica hanno denunciato che la chiusura delle fornitrici del triangolo industriale italiano le avrebbe costrette a ridimensionare produzione e occupazione in modo drastico, le cose si sono un pochino aggiustate, anche se abbiamo continuato ad assistere al disgustoso spettacolo delle performances dei ministri olandesi con i crucchi del loro paese disperati se all’Italia va un euro dell’Europa senza interessi da strozzini. Una vergogna.

Poi è arrivato il Mes “senza condizioni“, ovvero un colpo di cannone senza esplosione o, se preferite, senza danni. Un’altra vergogna. Ne abbiamo già parlato e sappiamo bene che è impossibile modificare un trattato come il Mes senza l’approvazione dei parlamenti dei 26 stati europei, e che in quello sottoscritto le condizioni ci stanno eccome, e i responsabili del Mes, ove non le applicassero, sarebbero chiamati a risponderne personalmente davanti alla Commissione europea. Sarebbe sufficiente che una Estonia o una Bulgaria qualsiasi chiedessero contezza della destinazione delle somme e dei vincoli previsti dal trattato per far buttare la letterina a Babbo Natale di Gentiloni nel cestino della carta straccia dove potete tranquillamente lasciarla a marcire. Ma questi sono abituati a considerare la gente degli imbecilli senza nemmeno la patente, e quindi a pensare che possono raccontargli qualsiasi favola senza subire conseguenze. Il nostro governo ha insistito per la costituzione di un Recovery Fund destinato a ripagare i danni subiti dagli Stati europei per la pandemia, in questo confortato da analoga richiesta degli spagnoli e soprattutto della Francia. E mentre il MES si eclissava nel rifiuto netto di tutti gli Stati europei ad avvalersene, sia perché del tutto insufficiente sia perché del tutto incongruo alla situazione attuale, le speranze si sono appuntate su questo Recovery Fund, di cui si sono dette mirabilie fino a qualche giorno fa. Ovvero che doveva essere un intervento da almeno 1500/2000 miliardi, in grado di sostenere le economie dei paesi colpiti e mostrare al volgo e all’inclita che l’Europa c’è, è viva e lotta insieme a noi. Ovviamente le resistenze dei paesi del nord si sono fatte più forti e il coro diretto dagli strozzini ha alzato la voce, ma gli speranzosi di casa nostra non ne hanno tenuto conto, fidando nella capacità di Macron di piegare le resistenze e costituire al più presto questo benedetto fondo europeo di solidarietà.

Nel frattempo, la Banca Centrale Europea subiva il duro colpo della sentenza della Corte Costituzionale tedesca che metteva il dito sulla piaga purulenta dei limiti del suo intervento in mancanza di un accordo fiscale e politico tra i paesi europei. E mentre la Lagarde sta pensando a come rispondere alla Corte che gli ha dato tre mesi di tempo per giustificare gli “sproporzionati” interventi sul mercato dei titoli pubblici che la BCE ha effettuato negli scorsi anni, il progetto di fare della Banca centrale un istituto di ultima istanza è svanito come nebbia al sole. E pure la “potenza di fuoco” dei 750 miliardi si è rivelata una pistola scarica, sia perché finiranno a ottobre e già il mercato sta rullando tamburi di guerra contro i titoli degli Stati più deboli, sia perché con la sentenza della Corte tedesca è divenuto impossibile comprare titoli di Stato in misura non proporzionale, e già sarebbe un’eccezione rispetto al ruolo disegnato a Maastricht per la BCE, e figuriamoci comprare Junk bond, quali saranno classificati i titoli italiani, greci e spagnoli tra qualche mese (pochi, purtroppo). Tanto che il mercato non si fida nemmeno un po’ e continua a tenere sotto pressione i titoli più deboli del lotto dei paesi europei.

E allora il Recovery Fund, l’ultima ancora di salvezza! E invece manco per niente. Perché intanto, la montagna che prometteva le migliaia di miliardi che servono per davvero, ha partorito tra doglie indicibili, il topolino di un intervento, forse, da 500 miliardi, un sesto di quanto sarebbe necessario per tutti i paesi europei colpiti dal Covid 19. Il forse è legato a tanti di quei fattori che se davvero si verificassero tutti sarebbe un miracolo. Intanto per i tempi: il fondo sarà istituito con il prossimo bilancio UE che deve essere approvato nelle leggi finanziarie degli Stati membri, e quindi prima della prossima primavera non se ne parla nemmeno. E vai a capire se sarà approvato e in che misura e con quali vincoli, perché figuriamoci se i pierini del nord Europa non vorranno mettere bocca sparando sciocchezze a raffica in questa situazione. Poi, per il fatto che è a fondo perduto per modo di dire. Non è la BCE che stampa soldi e li distribuisce a pioggia, ma è il bilancio della UE che viene allargato e destinato per la parte “nuova” a coprire gli interventi nei paesi più colpiti dal Covid. L’Italia è certamente il più colpito, ma non dimentichiamoci che noi contribuiamo molto al bilancio della UE e che anche qui dovremo dare il nostro contributo che non sarà da poco. Le previsioni sono che forse riusciremo ad ottenere 100 miliardi, ma il nostro contributo sarà di sessanta miliardi. Insomma, ci regalano la differenza tra quello che diamo e quello che prendiamo e forse per la prima volta nella storia, temo ormai ai titoli di coda, della Comunità Europea, prenderemo un po’ di più di quello che diamo, mentre finora è stato sempre il contrario.  Già, perché l’Italia è il terzo paese come contributi diretti, ma il quinto per quelli che riceve in cambio dalla UE. Insomma, quando dobbiamo dare, si sventola la solidarietà, ma quando dobbiamo prendere la solidarietà va a farsi benedire altrove. A prescindere poi, dal contributo che stiamo dando da vent’anni e che non viene conteggiato come tale, ma di questo si tratta. Mi riferisco agli interessi che paghiamo sul debito pubblico e che sono un bel contributo alla prosperità e ai vizi delle banche del nord Europa, che ne fanno regolarmente incetta, prendono da noi i soldi e ci fanno pure la morale, e poi li vanno a buttare nei casinò della Borsa di Singapore o di Hong Kong dove spesso prendono schiaffoni memorabili per la banale ragione che non sono capaci a truffare se non noi italiani. Ma si sa che noi siamo troppi stupidi per capire che il giochino che ci viene imposto con lo Spread è una banale truffa. Recentemente, le care banche del nord hanno perso complessivamente quattro miliardi di euro in transazioni fantasma, con una nave carica di petrolio che appariva e scompariva facendo da specchietto per le allodole, e scommettendo che dalla transazione in questione avrebbero incassato chissà quanti guadagni. La solita vecchia storia degli avidi che si fanno accecare dal bagliore dei piccioli che gli vengono promessi e che ci rimettono anche le mutande. Se non fosse che quelle mutande sono le nostre, ci sarebbe da mettersi a ridere a crepapelle. Ringraziate i governi e i politici imbelli che hanno guidato il paese negli ultimi trent’anni, e pure quel sistema mediatico che con coraggio da leone ha denunciato nulla. E magari continuate a votarli che vi sta bene se vi prendono per i fondelli, vi trattano da miserabili e vi svuotano le tasche da consumati e provetti borseggiatori. E poi ve la prendete con chi vi racconta la verità. Auguri a tutti.

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